Dalle nostre parti basta fare il cognome di una famiglia col suo capostipite per conoscere di essa fatti e misfatti, con le sue caratteristiche salienti, in positivo ed in negativo.
Ecco le emergenti peculiarità delle mie famiglie di origine, da cui è fuoriuscito il mio “cocktail” caratteriale.
Per meglio identificarmi, farò seguire il mio nome dai cognomi dei quattro nonni e mi chiamo, quindi, Francesco Andrea Maiello Giordano Rea Manno.
Dai Maiello (famiglia nonno paterno) ho acquisito bonarietà, passionalità (umore sanguigno, caldo di Ippocrate), la salutare passione per il calcio giocato e l’insano, ahimè, vizio del gioco; dai Giordano (famiglia nonno materno) caparbietà ed irascibilità, che subentrano alla mitezza di fronte alle prepotenze mai sopportate; dai Rea (famiglia nonna paterna) la razionalità nella giusta dose (e non certo l’eccessiva che sconfina nella freddezza, nella flemma o “umore freddo”, nell’esasperato calcolo “del mio e del tuo”); infine, dai Manno (famiglia nonna materna) l'astuzia con un pizzico di malizia, che ha in certo qual modo mitigato e mascherato l’eccessiva bonarietà dei Maiello.
L’astuzia e la malizia dei Manno le ho acquisite per contatto diretto, all’atto del battesimo, dalle mani dell’uomo più rappresentativo di questa famiglia, mio “compare” di battesimo, che talora cercai per risolvere miei problemi – mi ritrovai, invece, sempre presente per risolvere i suoi problemi.
Questo personaggio, insigne avvocato, politico consumato, esperto oratore con repentini passaggi di tono dal serio, all’ironico, al commovente nelle sceneggiate delle battaglie elettorali comunali e quindi grandissimo attore, mi coinvolse, appena ventenne (col miraggio di un campo sportivo!) in queste beghe politiche, da me sempre aborrite (avrei somatizzato i problemi di tutto il paese!).
Adocchiò proprio me, conoscendomi bene e sapendo che già a quell’epoca, per la mia affabilità, potevo disporre di un mio proprio seguito: compagni di scuola, compagni della milizia Immacolata, compagni di pallone e finanche degli amici del poker, che continuamente mi salassavano.
Questa mia affabilità, lontano dalla famiglia, tra tutti questi amici, per il mio comportamento estroverso, esuberante, ilare, altro non era che lo sfogo al vissuto familiare di ansie e paure.
Tanto che, col ritorno a casa, si attuava profonda metamorfosi con il rattristamento del viso e l’intonazione mentale di un ossessionante ritornello, carpito al “Sommo Poeta”, che, avvicinandomi a casa e salendo le scale, si faceva sempre più assordante:
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“Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote”.
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Questo mio compare divenne, con il modesto ma determinante mio contributo, per la prima volta sindaco del paese.
Avendo notato che avevo preso molte preferenze senza per niente far politica (rifiutando finanche i voti dei non simpatici!), la cosa gli piacque molto e così, dopo quattro anni, ritornò per un mio nuovo coinvolgimento.
Proprio in quel periodo (correva forse il 1973) giammai avrei accettato, perché da circa un anno era morto mio padre e, per non portarvela alle lunghe, ero molto impegnato, tanto da studiare con i libri sul bancone del negozio che conducevo.
Da scaltro quale era, visto che questa volta non l’avrebbe mai spuntata, conoscendo bene anche il carattere di mia madre, da come diceva sua adorata cugina – ed era la verità – si rivolse a lei per farmi convincere.
E così a sera, stanco, di ritorno dal lavoro e dagli studi, mia madre con la sua petulanza talmente mi assillò che mi fece entrare, per la seconda volta, in competizione elettorale.
Ricordo solo che nella prima competizione – correva all’epoca l’anno 1969 e avevo all’incirca vent’anni – riferendo questo mio coinvolgimento in famiglia, mio padre, uomo di smisurata pazienza, non poté fare a meno, pur lasciandomi libertà di scelta, di commentare la cosa con un sintetico, raggelante, significativo “ah!
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Ritornando al mio “cocktail” caratteriale, nel corso degli anni la malizia è andata del tutto sfumando.
La passionalità dei Maiello ha sopravanzato del tutto la razionalità dei Rea (uno dei miei fratelli è stato pervaso da “ippocratea fl emma”, divenendo così brillante anestesista!), mentre non di rado è emersa l’irascibilità dei Giordano.
Ed è stata proprio questa che, rabbuiandomi la mente per ingravescente incompatibilità con mia moglie, ha fatto abbandonare il tetto coniugale proprio a me, convinto ed accanito assertore della sacra famiglia, idealista dell’unità familiare allargata – quanto meno a fratelli, cognati e nipoti.
Con l’abbandono del mio nucleo familiare, mia stessa essenza vitale, son caduto proprio sul tassello base, punto di partenza della sacra famiglia. Per l’innata sensibilità e l’irriducibile disponibilità, la passionalità, con cui mi sono impelagato in qualsiasi tipo di problema di questa unità familiare allargata, a occhi disattenti, ha dato impressione che io trascurassi la mia stessa famiglia.
Se, invece, dal coacervo caratteriale fosse emersa la razionalità, mi sarei rinchiuso nel mio nucleo familiare, cieco e sordo a qualsiasi problema esterno, dando così seguito alle promesse di cieli, mari e monti, purtroppo sempre disattese, fatte alla mia compagna di matrimonio e per me stesso, amante di viaggi e svaghi, tanto salutari.
Non è stato così. Il costante pensiero di qualche familiare in difficoltà, mentre io me la spassavo, non mi ha dato quella tranquillità e spensieratezza necessaria a godermi la vita, come forse giusto, insieme a mia moglie e ai miei figli, portandomi invece a rincorrere a perdifiato situazioni incresciose che di volta
in volta si presentavano nell’ambito familiare, dando comunque al tempo stesso massima disponibilità per i miei figli.
Vittima innocente di questa mia esplosiva miscela caratteriale, con la caparbia arroganza di affermare di essere sempre nel giusto e non sentir ragioni, è stata mia moglie, da me forse trascurata senza neanche rendermene conto.
Eppure, vedendomi impegnato in situazioni non piacevoli nella famiglia di mio padre, le avevo dato la massima libertà di azione, offrendo tra l’altro la gioia del mio nucleo familiare con generosità e senza altri intenti ai suoi genitori, giovani nonni che hanno dato sfrenata ebbrezza ai miei figli; nel ricordo di quella che sprigionavo quando quel burlone, pancione, baffuto nonno “Picchippone” mi faceva provare rincorrendomi per tutto il giardino, indimenticabile gioia durata solo un lampo, ma tanto intensa da darmi giusta carica vitale e illuminarmi il buio sentiero che la vita mi avrebbe riservato.
E son proprio loro i nostri nonni per maggior disponibilità a incidere, forse più degli stessi genitori, sulla formazione caratteriale dei nipoti in tenera età, periodo di loro massima acquisizione. Mi sono ritrovato così plasmato dalle paure religiose della nonna materna e dall’ilarità del nonno paterno (quest’ultima durata brevemente, ma sufficiente a trasmettermi gioia di vivere).
Il tocco finale, indelebile, per la mia definitiva formazione fu opera, però, di quell’affascinante, insostituibile maestro dei valori fondamentali della vita. Uomo che a tarda sera, stanco e di ritorno da lavoro, costringeva la balia a recarsi in stazione, perché fosse lui a portare a casa, stretto tra le braccia, quel fagottino del primogenito, dolce frutto, apoteosi della sua anima.