Follie epatiche (1a parte)

Nel rinvenire alla vita
mi diagnosticai una falla
che, tra pensieri folli,
la mente mi spegnea.
Fu con estremo sforzo
di ciò che mi restava
dopo immani tentativi
di colpo la tappai.
Non era altro che
l’amara epatopatia
di familiar riscontro,
d’emblée riconosciuta,
che tanti e tanti danni
a me avea arrecato.
Per la sua etiologia
non altro vi trovai,
sono le “amorevolezze”
a queste alfin pensai.
Son quelle cose che
s’ingurgitano per sommo amore
ma poi, quando troppe sono,
il mal ti vai a cercar
con questo inglorioso termine
di tal epatopatia
che può significar niente
o grave mal celar.
Ma io cosciente e dotto
in breve la combatto,
lo si vedrà il più forte!
Perfida ingannatrice,
mi cambi pur di sembianze,
da iena dissanguatrice
mi passi a mo’ di talpa
e scavi, scavi, scavi
tentando scacco matto
con i tuoi paladini della glissoniana.
Tu, prima mia corazza,
sostegno in ferratura
della primiera struttura,
che fai, mi ti rivolti
con aggressor impavidi,
ma resta nei tuoi limiti,
non sconfinar
nella limitante sacra che,
ahimè, perso questo presidio,
la pugna è ormai fatta.
Di voi protettori epatici
è meglio non parlare
ché, in caso di battaglia,
il vostro posto so.
Passivi e da lontano,
miei cari vil codardi,
se mai il sisma fosse,
le spalle voi dareste
ai pochi sopravvissuti
dello scempio letal.
Per l’incombente sisma
proprio sulla mia persona,
con voi fieri banditi
di glissoniana banda,
arrivo a certi patti:
se rimarrete inermi
nei vostri legal confini,
non più “amorevolezze”,
giammai ingurgiterò.
Non voglio, sì, per scienza,
ancora in coscienza,
per quegli incoscienti stadi,
passare a grado a grado
nella follia epatica
che, per sconosciute strade
dai maleodoranti olezzi
e tra spie impenitenti,
ti arreca tanto danno.
 
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